Giovedì, 14 Giugno 2012 22:52

I cento anni di Arturo Paoli

Scritto da  Gerardo

"Ogni sua apparizione pubblica è un mini evento. Giovani e meno giovani che accorrono per ascoltarlo, per fargli domande, per applaudirlo, come a un appuntamento con un profeta vivente. E lui, dalla grandezza dei suoi cento anni, non delude mai e parla, con la passione e l'invettiva di sempre, della sua visione del Cristianesimo non come teoria, ma come pratica di vita, il cui unico fine è “amorizzare” il mondo e non proteggere ricchi e potenti."
Con queste parole inizia Amarci e soccorrerci. È solo per questo che l’uomo è al mondo, l'articolo di Paola Taddeucci, comparso su "Il Tirreno” del 12 giugno 2012, dedicato alla figura di Arturo Paoli.



Amarci e soccorrerci. È solo per questo che l’uomo è al mondo


Ogni sua apparizione pubblica è un mini evento. Giovani e meno giovani che accorrono per ascoltarlo, per fargli domande, per applaudirlo, come a un appuntamento con un profeta vivente. E lui, dalla grandezza dei suoi cento anni, non delude mai e parla, con la passione e l'invettiva di sempre, della sua visione del Cristianesimo non come teoria, ma come pratica di vita, il cui unico fine è “amorizzare” il mondo e non proteggere ricchi e potenti. Una visione dalle implicazioni troppo progressiste e scomode per la Chiesa degli anni Cinquanta-Sessanta, che per oltre cinquant'anni lo ha voluto lontano dall'Italia, dove ha fatto ritorno solo nel 2005. Arturo Paoli - lucchese, sacerdote dei Piccoli fratelli di Foucauld, proclamato Giusto tra le nazioni e insignito della medaglia d'oro al valore civile per aver salvato molti ebrei - non delude i tanti che seguono le sue opere da anni. Come ha dimostrato alla presentazione del suo ultimo libro La pazienza del nulla, organizzata dalla Fondazione Banca del Monte nell'auditorium di piazza San Martino.
Un profeta vivente. Paoli è ancora oggi umile e modesto ma è sempre capace di parlare con grande chiarezza. E parla ancora una volta da profeta. Diretto, come sempre, nel criticare alla Chiesa una magnificenza di apparati e manifestazioni a suo giudizio inutili e nel difendere un'altra teologia, quella della liberazione, «nata a Nazaret dalle mani callose di Gesù - dice Paoli - e non nelle accademie» e da lui sperimentata nelle foreste, nelle favelas e nelle città dell'America Latina, dove fu protagonista a fianco di chi lottò e morì per la libertà.
Lui stesso è stato condannato a morte dalla dittatura militare argentina, riuscì a scappare, rifugiandosi prima in Venezuela e poi in Brasile, dove è rimasto fino al rientro in Italia.
Gesù operaio. «Gesù - prosegue Paoli - ha vissuto come operaio dando valore alla sofferenza dell'uomo semplice, che lotta per la vita. Ed è questo che un cristiano deve essere. Il resto è filosofia, elucubrazioni. Abbiamo costruito un Cristianesimo colossale, ingabbiato e impacciato sotto il manto del pensiero, per sottrarci all'unico impegno che Cristo ci ha dato: amarci, soccorrerci, dedicarci alle relazioni umane». Un precetto, questo, sul quale insiste, ripetendolo più volte e alzando il tono della voce, per sottolinearne l'importanza.
Amore, non parate. E ancora: «È facile sentirsi cristiani partecipando ai pellegrinaggi e alle grandi parate religiose, dove si pensa di contentare Cristo rendendolo bello e pieno di lustrini. Ma lui, di tutto questo, non vuol sapere e dice: lasciatemi in pace e pensate piuttosto a volervi bene, a parlare lo stesso linguaggio e a rinunciare all'egoismo».
Politica diabolica. Paoli, poi, ne ha da dire anche ai politici. Li invita a ribaltare «il modo di fare politica di oggi, diabolico, pensato a partire dal denaro e non dall'uomo, mentre la politica è andare incontro ai bisogni reali dell'uomo e non seguire la moneta». «Non posso capire come un credente - sottolinea - possa esercitare un'attività politica che non sia al servizio dell'uomo, ma del capitale».
I vescovi. Sul passato con la Chiesa preferisce sorvolare: «È un tema delicato». Vuole evidenziare, invece, la familiarità di oggi con l'arcivescovo di Lucca, monsignor Italo Castellani, di cui sottolinea il coraggio nell'aver aperto le porte della diocesi alle coppie non sposate. «È un atto bello e generoso. I vescovi non sempre sono simpatici, ma quando fanno una cosa gradita, bisogna dirlo».
La cacciata. Ma a ricordare quello che fu l'atteggiamento duro della Chiesa lucchese e dei lucchesi nei confronti di Paoli è il professor Pier Giorgio Camaiani, direttore del Fondo intitolato al sacerdote. Il motivo - ricorda il professor Camaiani - fu l'allontanamento voluto dal Vaticano nel 1954 quando Paoli era vice assistente nazionale della Gioventù Cattolica. Ufficialmente venne spedito in missione come cappellano sulle navi degli emigranti, in realtà era scomodo quello che lui diceva e professava. «Pochissimi - racconta Camaiani - furono i lucchesi che lo difesero, pensando che se era stato mandato via, qualcosa di grave doveva aver fatto. E il clero locale, timoroso del Vaticano, non lo richiamò mai. La sua riabilitazione è arrivata soltanto nel 2005, quando Paoli aveva 93 anni. Solo allora è potuto rientrare nella sua Lucca».

Un anno dopo l'arcivescovo Castellani gli ha affidato una bellissima canonica sulle colline di San Martino in Vignale, dove amici e fedeli giungono da ogni parte d'Italia per ascoltare il suo commento al Vangelo e la sua idea di "amorizzare" il mondo.
La scelta. Paoli decise che l’idea di "amorizzare" il mondo sarebbe stata il faro della sua vita già a otto anni, quando vide il sangue scorrere sulla piazza San Michele, a Lucca, al termine di uno scontro tra fascisti e socialisti che lasciò a terra due morti e una decina di feriti.
«Gli uomini non si vogliono bene, il nostro compito è impegnarci per costruire la pace»: la madre, dopo averlo tranquillizzato, gli disse questa frase. Che, da allora, lo accompagna.
Per gli ebrei. Paoli venne ordinato sacerdote nel 1940, quindici giorni prima dell'entrata in guerra dell'Italia. Gli fu assegnata, insieme ad altri tre giovani preti, la gestione del seminario arcivescovile.
Ed è là che, con l'assenso dell'arcivescovo Antonio Torrini, durante la guerra i quattro riuscirono a mettere in salvo oltre ottocento ebrei dalla persecuzione dei fascisti e dei tedeschi. Per questo Paoli ha ricevuto dalle Nazioni Unite il titolo di "Giusto tra le nazioni" e il suo nome è iscritto nel Giardino dei giusti di Gerusalemme.
Il deserto. L'anno trascorso nel deserto algerino, cui si riferisce il libro “La pazienza del nulla”, servì a Paoli come noviziato per entrare nei Piccoli fratelli, di cui sulle navi degli emigranti aveva conosciuto un religioso. Nel 1959 fu inviato in Sardegna, tra i minatori di Iglesias, ma le sue prediche erano ancora sgradite alle autorità vaticane, così gli venne suggerito di lasciare definitivamente l'Italia. Non è più ritornato fino a 7 anni fa.
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